Consigli per l'acquisto dei migliori prodotti tecnologici
Le produzioni a 360 gradi VR si sono diffuse in ogni settore e non più considerate pionieristiche. I sistemi impiegati si sono evoluti e vengono abitualmente commercializzati e sottoposti ad aggiornamenti periodici.
Ormai è passato parecchio tempo da quando la creazione di video a 360 gradi richiedeva di passare attraverso la stampa in 3d per il rig in cui installare 6 Gopro e l’unione del materiale registrato dalle camere utilizzate.
Attualmente il mercato propone prodotti di differenti fasce economiche e qualitative che si adattano a diverse richieste performative e tecnologiche. In queto articolo vediamo alcuni modelli e alcuni aspetti da considerare prima di scegliere le attrezzature da utilizzare.
Ne abbiamo discusso con uno studio che si occupa di filmati immersivi e video VR a 360 gradi, sia nel mondo B2B che nel settore divulgativo. Lo spartiacque fra le varie videocamere a 360 gradi sta nel numero di obiettivi. Si parte da quelle economiche e semplici dotate di un obiettivo per ciascun lato.
Ogni obiettivo ha la capacità di inquadrare a 180 gradi, creando due campi separati che vengono poi riassemblati grazie allo “stitching”.
Solitamente i modelli di ottica ad uso non professionale sono dotati di una risoluzione massima di 5K. Il valore va interpretato con attenzione, in quanto lo spettatore osserva una sola parte del filmato girato a 360 gradi VR; questo comporta che le immagini originali debbano avere una risoluzione maggiore.
Al contrario le camere ad uso professionale dispongono di molte più ottiche, fino ad 8. Ciascuna delle quali registra autonomamente.
Le riprese possono essere monoscopiche o stereoscopiche, il che significa in 2 o in 3 dimensioni. In 3d, naturalmente, l’immagine acquisisce maggiore profondità. La criticità maggiore, in questo caso, è legata alla distanza che intercorre tra il soggetto da riprendere e l’ottica. Per una definizione di video in 3d, stereoscopico e non, si rimanda a questo articolo su video 3d, realtà virtuale, aumentata e stereoscopia Il numero di lenti è collegato direttamente alla qualità delle immagini e alla presenza di distorsioni del grandangolare, strettamente connessa all’utilizzo delle camere con due sole ottiche.
Il processo di fusione dei vari flussi, riesce a discriminare tra filmati qualitativamente superiori da quelli di qualità inferiore, sia che si tratti di flussi provenienti da doppia ottica o da dispositivi dotati di 6-8 obiettivi.
Per tutte queste ragioni quando si parla di risoluzione si deve fare attenzione alla valenza da attribuire a questo termine. La risoluzione 4K di un video tradizionale non equivale alla stessa risoluzione definita per un video a 360 gradi VR. La visione avviene a singole porzioni d’immagine e un buon sistema di fusione dei flussi permette di evitare artefatti nei punti di giuntura.
I programmi originali per le riprese a 360gradi erano carenti nella fase di cucitura, che con il tempo è stata migliorata fino a risultare praticamente impercettibile.
La regola generale vuole che la risoluzione minima debba essere di 4K: ciò implica l’impiego di diverse lenti che producono un certo numero di flussi, che andranno poi sottoposti a stitching. Questa complessità implica la necessità di calcoli gestibili da differenti CPU del computer e da una adeguata scheda grafica.
Si tratta di un aspetto fondamentale, in quanto le videocamere a 360 gradi non posso usufruire dei diffusi sistemi di stabilizzazione meccanici; i normali Gimbal, infatti, non sono adatti ma sono stati prototipizzati alcuni strumenti non ancora diffusi.
Risulta, quindi, evidente che la qualità del software utilizzato nella post-produzione è determinante. Abitualmente questo tipo di software viene fornito con la camera.
I sistemi di tipo professionale (Insta Titan e Pro) usano software che agiscono sui dati provenienti dal giroscopio posizionato all’interno della camera operante su 9 assi. Tutto il processo avviene attraverso la tecnologia proprietaria Flowstate.